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Nan Goldin: scatti ai margini

Aggiornamento: 5 lug

Rubrica: Attivismo Artistico - Pride month


TW: immagini forti, violenza, abuso di sostanze


Sincera, spietata e intima, la fotografia di Nan Goldin ha impresso un nuovo modo di percepire l’immagine della realtà quotidiana, rappresentata senza fronzoli né finzione nelle vibranti tonalità delle sue ballate di vita.

The Ballad of Sexual Dependency-1979
The ballad of sexual dependency-1979
“I knew from a very early age, that what I saw on tv had nothing to do with real life. So I wanted to make a record of real life. That included having a camera with me at all times.”

Nancy Goldin, nasce a Washington il 12 settembre 1953 in una famiglia ebraica della piccola borghesia e cresce tra i sobborghi del Maryland e del Massachusetts. La sua infanzia è profondamente segnata dal suicidio della sorella maggiore Barbara e dalla conseguente negazione dell’accaduto da parte della famiglia. Questo fa crescere dentro la giovane un desiderio di verità e libertà che inizia ad inseguire quando abbandona il nido familiare per iscriversi nel 1968 alla Satya Community School di Summerhill, un istituto superiore dall'approccio educativo avanguardista. Qui conosce David Armstrong (anche lui futuro fotografo) che - dopo averla ribattezzata Nan -  la apre al mondo della cultura queer. Quando un docente le mette in mano una Polaroid, la giovane inizia a sperimentare con la fotografia che diventerà presto il mezzo attraverso  la quale o cui  cercherà di catturare  la verità.

Nan nei primi anni Settanta si trasferisce a Boston, insieme a David, vivendo per la prima volta in una casa con una famiglia che si è scelta e che l’ha scelta. Entra in contatto, mentre frequenta una scuola di fotografia, con le immagini del  Larry Clark - fotografo statunitense che ritrae persone marginalizzate dell'Oklahoma - che la ispira profondamente: inizia a sua volta a sfruttare la fotografia (in bianco e nero) come un diario personale nel quale ritrae il mondo che la circonda, tra cui lə suə coinquilinə drag queen e gli ambienti che frequentano. 

Sempre insieme ad Armstrong, si trasferisce a New York, dove le sue immagini, abbandonato il b&w, prendono colore e aderiscono ulteriormente al suo vissuto, scattando nei locali notturni e nelle ballroom, tra eccessi di alcool e droghe. 

L’amore, l’identità di genere, il sesso, la violenza, le dipendenze e le amicizie si alternano a scene di disarmante quotidianità della sottocultura gay post-Stonewall della Grande Mela, alla fine degli anni Settanta. 

Nel 1979, presenta sotto forma di Slideshow, in vari locali della città, la serie fotografica che le dona la fama: The ballad of sexual dependency.



“My photography has always been about trying to stave off loss: of people, places, experience, memory. Nowadays it’s also my form of safe sex. It’s a way for me to show people the admiration and love I feel for them.”

Gli scatti, frutto di un approccio domestico e apparentemente rubato, ritraggono lə  soggettə coltə di sorpresa, senza pose, dentro immagini crude e imperfette, conferendo loro  quell’allure tipico del reportage. Questo porta lə spettatorə ad osservare le parti più intime e trasgressive della vita, attraverso la carica dello sguardo privato e personale della fotografa.


In quegli anni, Goldin cerca in modo esasperato di preservare l’essenza di ciò che vive e la circonda, lottando contro il tempo e la morte, passando da party dionisiaci e glamour alle violenze del suo ex ragazzo. Nel suo corpo di lavoro sono presenti diversi autoritratti; tra questi compare quello inquietante del 1984, intitolato Nan un mese dopo essere stata picchiata. Non nomina il suo aggressore nel titolo, ma indipendentemente da questo, siamo tuttə testimonə dei suoi effetti: i segni sul viso e l’occhio rosso di sangue che ci fissa.

Nan un mese dopo essere stata picchiata- 1984

Lə protagonistə del suo corpo di opere sono i membri della sua famiglia allargata che vuole fotografare intimamente al fine di custodirli  per sempre con sé, sentendo in modo incombente la minaccia della perdita di suoi cari . In quegli anni, infatti, l’irruzione dell’AIDS e delle overdose da sostanze stupefacenti porta via molti dellə  anti-eroə  protagonistə  delle sue immagini.

Gilles and Gottscho Embracing, Paris, 1992, e Gilles Arm, Paris, 1993, appartengono a un gruppo di fotografie relative agli ultimi mesi di vita di Gilles Dusein, al tempo gallerista di Goldin a Parigi. Nella prima immagine l’uomo è unito al suo compagno in una posa che sembra stringere le due teste e i busti in un nodo indissolubile, ricordando  visivamente il simbolo dell’infinito. In Gilles Arm, scattata in un momento successivo, l’empatia di Goldin la porta a fotografare il braccio del malato come quello di un martire, il cui corpo è ormai composto da parti simili a reliquie. 

La fotografa crea immagini fisse, alludendo alla narrativa filmica con la volontà di riflettere la visione mutevole del mondo, diretta da lei in prima persona, davanti e dietro l’obiettivo. Ottiene così un flusso di immagini istantanee con tematiche universali. 

Nel 2022,  Laura Poitras, regista statunitense, racchiude in un film documentario, intitolato Tutta la bellezza e il dolore - All the Beauty and the Bloodshed, la vita e la carriera della fotografa. La pellicola documenta principalmente la lotta contro la famiglia Sackler, proprietaria della società farmaceutica Purdue Pharma, ritenuta responsabile dell’epidemia di oppioidi negli Stati Uniti , portando avanti così le battaglie di Goldin.


Operando tra shock, voyeurismo e compassione, Goldin tira dei fili di empatia che legano il soggetto fotografato e lə spettatorə, portando in questo modo alla luce un dialogo privo di veli, che mette a nudo con forza e senza reticenze l’eternità delle sensazioni quotidiane, intime e nascoste.

b.b.

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