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Ricercare le arti con Ippolita di Majo

Aggiornamento: 31 ott

Rubrica: Voci d'artistə


Ippolita di Majo è una storica dell’arte e sceneggiatrice che non ha mai smesso di studiare e appassionarsi alle arti, facendole dialogare tra loro. Si è avventurata nella letteratura, nell’arte visiva, nel teatro e nel cinema, sempre con la volontà di esplorare in profondità. Da molti anni ha stretto un forte sodalizio con Mario Martone, il cui ultimo film, Fuori, parla della scrittrice Goliarda Sapienza.


Ippolita di Majo fotografata da Gianmarco Chieregato
Ippolita di Majo fotografata da Gianmarco Chieregato

Raccontaci qual è stato il tuo percorso con le arti.


Mi sono laureata in Lettere con una tesi in storia dell’arte medievale e moderna. In seguito, ho vinto il dottorato, la specializzazione, il post dottorato e l’assegno di ricerca. Avevo già iniziato a pubblicare alcuni testi e ho potuto continuare a farlo lavorando per due anni a Villa I Tatti - The Harvard University Center for Italian Renaissance Studies. In quegli anni ho curato una collana di libri che è uscita per Il Sole 24 Ore, composta da testi sui grandi maestri della pittura italiana. Mi volevo cimentare in una divulgazione simile a quella anglosassone, ovvero che fosse sia aggiornata sulla ricerca scientifica, sia in grado di far appassionare una persona che non ha particolari conoscenze sul tema: l’obiettivo è di non dare per scontato niente e di creare al contempo un racconto che riesca a coinvolgere chi legge. Queste attitudini mi hanno agevolata nelle mie successive esperienze lavorative.



Come ti sei avvicinata al cinema?


Nina di Majo fotografata da Simone Martinetto
Nina di Majo fotografata da Simone Martinetto

Sono sempre stata molto appassionata al cinema; l’arte mi interessava tutta e ho cercato più che potevo di seguirla in ogni sua espressione. Mia sorella Nina è regista e sceneggiatrice; le prime sceneggiature che ho letto sono le sue e ho fatto le prime esperienze sul set con lei.


Il mio primo lavoro nel cinema, però,  è stato per il film di Mario Martone Noi credevamo, in cui si racconta il Risorgimento italiano dal punto di vista della rivoluzione mancata. Voleva essere molto preciso filologicamente, per questo io ho curato l’iconografia. Abbiamo studiato quel periodo tramite i dipinti e le rappresentazioni dell’epoca per comprendere la scenografia, i costumi, le acconciature, come rendere le esplosioni da polvere da sparo e la qualità della luce delle lampade ad olio – su questo ho dialogato molto con il direttore della fotografia Renato Berta. Avevo quindi raccolto un’enorme documentazione visiva, seguendo parallelamente anche la selezione musicale.


locandina de "Il giovane favoloso"

In seguito, Martone – all’epoca direttore del Teatro Stabile di Torino – decise di mettere in scena le Operette morali di Giacomo Leopardi e chiese il mio aiuto, dato che lo avevo studiato approfonditamente. Ho acconsentito subito perché anche il teatro è sempre stato un mio grande interesse. È stato un lavoro molto stimolante perché i testi su cui abbiamo lavorato hanno un periodare meraviglioso, è come se fossero scritti per essere detti. Leopardi cercava una lingua moderna e teatrale che fosse quasi un parlato.


Questo è stato il mio primo avvicinamento alla scrittura non accademica. Da lì Martone ha pensato al film Il giovane favoloso e abbiamo provato a scriverlo insieme. È stato un lavoro che ci ha coinvolti profondamente: abbiamo inventato poche cose, poiché volevamo intessere la sceneggiatura con frasi presenti nei suoi scritti. Anche Elio Germano, che interpreta Leopardi, si era talmente immedesimato e tuffato nello studio, che quando improvvisava usava passaggi dello Zibaldone.


Ovviamente non è stato immediato scrivere in coppia con Mario: io avevo sempre scritto da sola e, inoltre, non è scontato che marito e moglie riescano a trovare sintonia anche nella creazione. Scrivere collettivamente è una dinamica complessa, ma molto arricchente: ci si dimentica chi ha detto cosa; tante idee nascono proprio insieme, ognuno apporta un qualcosa che l’altro poi sviluppa e via così. Ovviamente capita anche di scontrarsi nel lavoro, è normale. Nonostante questo, la sceneggiatura è piaciuta moltissimo al produttore e non abbiamo avuto bisogno di un terzo sceneggiatore. Da quel momento in poi abbiamo scritto sempre insieme.


Ippolita di Majo e Mario Martone sul set di Fuori fotografati da Mario Spada
Ippolita di Majo e Mario Martone sul set di Fuori fotografati da Mario Spada

Come vivi il tuo rapporto con la ricerca e la scrittura accademica e quella artistica?


Per me la ricerca è sempre una forma di creazione, anche se accademica. Mi è sembrato naturale unire le due cose, poi ho provato una certa vertigine di libertà nel poter inventare. Quando scrivi accademicamente sei protetta da un oggettività dei risultati della tua ricerca; quando scrivi un romanzo o una sceneggiatura, invece, non c’è un dato inequivocabilmente buono o cattivo: sei più esposta, ma anche più libera.


Nel mio percorso è stato fondamentale studiare e penso che in generale è meglio iniziare da uno studio più generico, perché il tempo per specializzarsi arriva dopo. Se ti piace lo studio, è importante perseguirlo, perché è un momento di grande possibilità. Più cose ti piacciono meglio vivi.



Hai detto che hai una forte passione per tutte le arti. Mi sembra che, in qualche modo, tutti i film che hai scritto dialogano con il mondo artistico, nel senso più ampio del termine.


locandina del film "Capri revolution"

Esatto, ad esempio il titolo originario del film Capri revolution era Capri-Batterie, come il nome dell’opera d’arte concettuale di Joseph Beuys, da cui il film attinge molto, creando un dialogo con le arti performative e la danza.


locandina del film "Qui rido io"

Allo stesso modo, in Qui rido io trattiamo di teatro, del trionfo e del crollo dell’artista Eduardo Scarpetta. Abbiamo anche cercato di portare alla luce, seppur come sfondo della storia, alcune figure femminili attorno a lui che sono state oscurate e silenziate. È chiaro che se una donna non si autoracconta, ma viene solo raccontata dal figlio, non vale, perché quest’ultimo la vedrà sempre come la Madonna. Mi sono quindi chiesta dove fossero le voci di queste donne, per questo abbiamo cercato di dar loro una forza e una solidarietà.



Com’è essere donna nel mondo accademico e artistico? Hai qualche consiglio da dare alle giovani donne che vogliono affacciarsi a questi mondi?


Il consiglio è continuare a resistere, unirsi ad altre donne e cercare di intercettare gli uomini sensibili che possono aiutarvi.


Essendo io la moglie di Mario Martone, mi trovo in una posizione che socialmente viene spesso ridotta a ‘musa. È sicuramente possibile che io venga ispirata da Mario e viceversa; la posizione della musa, tuttavia, è passiva, mentre io esercito una professione attiva per la quale vengo pagata.


Anna Ferzetti in #callforwomen di Ippolita Di Majo
Anna Ferzetti in #callforwomen

Proprio perché frasi di questo tipo generavano in me un dolore che mi lavorava dentro, e avevo inoltre il desiderio di realizzare una cosa da sola, provai a scrivere qualcosa. Lessi un articolo molto interessante di Riccarda Zezza su Il Sole 24 Ore che si chiamava “Quel giorno di sole in cui sono andata a dare le dimissioni”, in cui parlava di come fu costretta a licenziarsi dopo aver avuto due figli. Scrisse poi il libro Maam. La maternità è un master, nel quale sostiene che le capacità di cura che si apprendono nell'essere madre corrispondono a un master nelle relazioni di ufficio: non si tratta di qualcosa in meno, ma di skill in più. Il libro aveva avuto un certo successo e includeva anche dei dati statistici che mi avevano scioccata; ad esempio, nel 2016 il 78% delle dimissioni sono state di donne con figli. D’altra parte avevo sperimentato sulla mia pelle quanto ciò fosse difficile, quindi iniziai a lavorare a un testo teatrale per quattro attrici, che è stato portato sui palchi di tutta Italia l'8 marzo del 2023 con il titolo #callforwomen. A Napoli, Paola Rota lo ha messo in scena con  le bravissime attrici Valentina Bellè, Anna Ferzetti, Donatella Finocchiaro e Caterina Guzzanti. Si raccontavano quattro storie in modo molto ironico, nonostante la tragicità dei temi; alcune battute erano prese da cose che mi sono state dette almeno una volta nella vita e che mi hanno ferita molto.

Alcuni esempi sono:


Un momento dello spettacolo #callforwomen di Ippolita Di Majo
Un momento dello spettacolo #callforwomen

-“Tu sei così bella, che studi a fare?”

-“Sii bella e taci.”

-“Scusami, ho chiamato te per non disturbarlo.” 

-“Tu sei la sua musa ispiratrice.” 

-“No, io non sono una musa, non sono una fonte di ispirazione, io lavoro. Che poi anche lui poveretto magari si ispira a qualcosa di più alto, mica a me.” 

-“Ma che poi quanto prende all’ora una musa ispiratrice?”




L’ultimo film che hai scritto mette al centro proprio le relazioni femminili. Raccontaci come hai iniziato a lavorare su Goliarda Sapienza.


Già per la creazione della protagonista del film Capri revolution, Lucia, avevo attinto al personaggio di Modesta, de L’arte della gioia, ispirandomi al suo desiderio di prendersi la libertà a tutti i costi, senza guardare in faccia a nessuno.


Per mia antica e radicata abitudine, oltre a lavorare con Mario, cercavo anche degli spazi individuali di scrittura. Così, sul set del film io e Donatella Finocchiaro ci confrontammo su Sapienza e lei mi consigliò un suo testo poco conosciuto, Il filo di mezzogiorno, invitandomi a lavorarci su. L’ho affrontato negli anni poiché era un testo molto complicato, scritto come fosse in presa diretta, e non capii subito in che modo lavorarci. Mi misi quindi a leggere tutte le opere di Sapienza per comprenderla e riuscire poi a scrivere qualcosa di originale.


Una volta conosciuti i suoi fantasmi, scrissi la versione teatrale de Il filo di mezzogiorno, che venne pubblicata da Einaudi e piacque molto a Roberto Andò, regista e scrittore, che mi spinse a portarlo in scena. La regia fu di Mario Martone, e lo portammo insieme in diversi teatri italiani con una tournée di due anni. Da questa esperienza nacque l’idea di realizzare un film su Goliarda Sapienza.




Fuori racconta un momento molto particolare della vita di Sapienza. Da dove viene questa scelta?


Frame dal film "Fuori" di Mario Martone
Frame di Fuori

Inizialmente pensavo a un film più biografico. Stavamo lavorando sugli anni in cui scrive L’arte della gioia e non riesce a pubblicarlo. A Mario piaceva moltissimo l’idea, così come ad Angelo Pellegrino, il marito di Sapienza. In seguito, però, lessi Le certezze del dubbio, un romanzo che affronta il momento in cui Goliarda esce dal carcere di Rebibbia e incontra casualmente per strada Roberta, una ragazza che aveva conosciuto nel periodo di detenzione. Da lì, si delinea un rapporto di amicizia così speciale e particolare in cui mi sono persa completamente. Non riuscivo ad andare avanti con il soggetto originario perché mi sentivo trascinata da questa storia. In quel momento, Mario era impegnato con un altro progetto, quindi non potevamo confrontarci: decisi quindi di metterlo per iscritto sotto forma di soggetto che alla fine è diventato il film. Abbiamo intessuto Le certezze del dubbio con L’università di Rebibbia, romanzo che racconta il ‘dentro’; ci sembrava necessario per capire il ‘fuori’. 


Tengo tanto a questo film, perché percepisco Goliarda Sapienza molto vicina, ci sono delle cose che amo moltissimo e sento profondamente mie. In generale, quando scrivi un personaggio, anche maschile, devi cercare di metterti dal suo punto di vista e apportare qualcosa di tuo per aggrapparti a un sentimento in grado di dare carne e sangue alla parola scritta. Nel caso di Fuori per me questo processo è stato fortissimo. Questa è la ragione per cui i crediti per il soggetto sono solo miei, mentre di solito scriviamo insieme.



Il fulcro del film mi sembra essere il rapporto fortissimo tra Goliarda e Roberta. 


Frame dal film "Fuori" di Mario Martone
Frame di Fuori

Sì, è un’amicizia femminile con varie sfumature: l’eros e il materno si intrecciano, c'è una tenerezza, una vicinanza, un rispecchiarsi nell'essere diversissime. È un modo di rappresentare una relazione tra donne inedito. Apparentemente sono agli antipodi: vi è una differenza di età, classe ed educazione. Roberta è una delinquente abituale, Goliarda una scrittrice colta, per questo si scontrano spesso, per poi riconciliarsi subito.

Il fulcro del film sono sensazioni, sentimenti e stati d’animo che tutti più o meno possono aver attraversato. Penso che sia un film che può appassionare anche se non si sa nulla della storia originale, anche perché tocca temi universali come attraversare un periodo di crisi, in cui non ci si riesce ad esprimere, cosa che capita soprattutto alle donne. Proprio in questo momento, Goliarda ha un cambiamento radicale di orizzonte: incontrando Roberta, la sua prospettiva viene ribaltata, si rimette in piedi e le ritorna la voglia di scrivere. È una cosa incredibile: l'incontro con una persona apparentemente così distante da lei la riporta a se stessa.


Ippolita di Majo e Mario Martone sul set di "Fuori"
Ippolita di Majo e Mario Martone sul set di Fuori

Chi ha parlato del film, tuttavia, spesso non si è soffermato su questo aspetto, a eccezione dei giovani che mi sembrano cogliere gli elementi più profondi e interessanti. Le persone di una certa età, invece, cercano sempre dei collegamenti con la biografia di Sapienza: ragionano come un manuale, guardano le cose attraverso il filtro di quanto già conoscono. Ad esempio, la paragonano a Pier Paolo Pasolini: un convinto anticonformista che viveva la sessualità in maniera libera e diversa. Però, come fa notare Mario Martone, Pasolini era un “tollerato”, Goliarda non era nemmeno ascoltata.









Per te ha un valore politico raccontare la sua storia?


Certo, anche perché L’arte della gioia è stato pubblicato in Italia in versione integrale solo nel 2008, quando lei era già morta da un pezzo e comunque non era stato letto da molti, nonostante in Francia fosse diventato addirittura un bestseller.


Con Fuori e con la mini-serie di Valeria Golino e Nicolangelo Gelsomini L’arte della gioia più persone l’hanno scoperta e letta. In questo senso vi è indubbiamente un valore politico nel raccontare queste storie. Per me, tuttavia, tutto parte sempre da un’emozione: quando ho letto le prime venti pagine de L'arte della gioia sono rimasta scioccata, non potevo credere che esistesse una scrittrice così e io non ne sapevo niente. Ho letto e studiato tanto di letteratura italiana, eppure non l'avevo proprio mai sentita nominare. Questo mi ha dato un forte dolore e una consapevolezza che, di conseguenza, diventa politica.

L'ultima cosa che ho fatto, sempre con l’idea di restituire agli altri una grande scrittrice, è stato curare e scrivere l’introduzione per Einaudi del Teatro di Fabrizia Ramondino, una scrittrice stupenda, i cui testi teatrali non erano mai stati pubblicati. A primavera 2026 torna in scena Stanza con compositore, donne, studenti musicali, ragazzo, un dramma inedito di Ramondino con la regia di Mario Martone e la mia collaborazione.




f.v.

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