Scoprirsi attori con Samuele Teneggi
- Francesca Viapiana
- 6 giorni fa
- Tempo di lettura: 8 min
Aggiornamento: 6 giorni fa
Rubrica: Emergere
Samuele Teneggi è un giovane attore che ha sempre sognato il cinema e continua a credere nella sua forza. Ha interpretato, oltre ad altri ruoli minori, ‘il’ Frank ne La storia del Frank e della Nina di Paola Randi, dopo aver recitato in Rapito di Marco Bellocchio. Si è formato all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio d’Amico e spera che il cinema possa sempre di più instillare un cambiamento nel mondo.

Raccontaci da dove è nata la tua passione per la recitazione e qual è stata la tua formazione.
Io vengo da un mondo molto lontano da quello del cinema: Castelnovo ne’ Monti, un comune di 10.000 abitanti in provincia di Reggio Emilia, sotto la Pietra di Bismantova. In un paesino come questo sognare di fare cinema è come sognare di fare l’astronauta; eppure, proprio lì c’era la Scuola Danza Teatro Canto Arcobaleno, dove ho potuto frequentare un corso di recitazione. Già da subito vedevo che, rispetto a tutte le svariate attività che i miei genitori mi proponevano, lì mi trovavo proprio bene, mi divertivo e riuscivo a sfogare quell'energia che nella vita trattenevo a causa della mia timidezza. Tramite la recitazione è diventato sempre più facile spiegare quello che provo e lasciarlo uscire. Penso sia quasi terapeutico: può migliorare sia il rapporto con la tua persona che con gli altri, oltre ad allenare l'ascolto e l'onestà. Per questi motivi me ne sono innamorato.

Quindi, finito il liceo, ho provato alcune accademie: quella che mi ha accettato è stata l’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio d’Amico a Roma. Questo per me è stato proprio un click: la passione stava diventando una scelta professionale e il fatto che fosse proprio in una città così magnifica e grande come Roma, andava oltre ogni mia aspettativa.
Durante il Covid mi annoiavo da morire, dato che la didattica purtroppo si era fermata, e ho avuto il tempo di trovare un’agenzia - la TT Agency - che mi ha permesso di fare i primi provini.
Ovviamente in questo settore ci sono tantissimi percorsi diversi e all’inizio mi sembrava un mondo inaccessibile perché pensavo bisognasse avere per forza un contatto, un collegamento. Invece, per fortuna, esistono anche percorsi lineari.
Perché ami il cinema? Pensi che la sua forza possa avere un impatto sulla realtà?
Ti racconto un aneddoto. Io mi sono sempre fatto prendere dallo stress, soprattutto durante gli anni dell’accademia, anche perché il teatro prevede una presenza e una durata delle prove molto immersive. A volte mi prendeva l’ansia perché ero insicuro riguardo le mie capacità, il mio personaggio, lo spettacolo che stavo facendo, i rapporti coi colleghi e amici. Insomma, ingigantivo tutto. Capitò che un giorno il regista mi prese da parte e mi disse: “Guarda che non stiamo salvando il mondo; ci sono dei lavori come quelli del medico, dell’avvocato, degli assistenti sociali che hanno implicazioni forti sulle persone e sulla società e potrebbero veramente ‘salvare il mondo’, ma noi stiamo solo facendo uno spettacolo, quindi stai tranquillo”.
Lui aveva perfettamente ragione però in realtà, a me, il cinema ha cambiato la vita, mi ha trasformato in una persona diversa che si lascia stupire, che vuole sognare e che sente sempre di più un’empatia verso le cose e le persone nel mondo; di conseguenza voglio essere attivo politicamente sia per quello che mi riguarda, sia per la giustizia sociale. Quindi forse il cinema non può cambiare le cose dall'oggi al domani, però può instillare un inizio di rivoluzione, può piantare dei semini che poi possono crescere dentro le persone che a loro volta possono diffondere il loro polline nel mondo, quindi indirettamente credo che possa veramente influire in modo importante sull'ordine delle cose.

Raccontaci le tue due esperienze principali al cinema. In che modo ti sei approcciato ai personaggi?
Sono stati due lavori opposti tra loro.
Ho interpretato Riccardo Mortara, un ruolo secondario, per il film Rapito del 2023 di Marco Bellocchio. Una settimana dopo essere stato selezionato, eravamo già sul set, quindi ho avuto poco tempo per studiare le scene. Nonostante i rapporti con Bellocchio fossero molto brevi ed essenziali, si era creato comunque un rapporto umano importante: ogni mattina riuniva gli attori coinvolti nella scena da girare e ci raccontava cosa aveva sognato la notte e, di conseguenza, la scena sarebbe stata cambiata e così anche le battute. Io ero praticamente al mio primo ruolo e avevo un metodo di lavoro che prevedeva una lunga analisi della sceneggiatura, per questo è stato molto stimolante lavorare con una persona che invece predilige l’improvvisazione e le minime espressioni altamente significanti che seleziona con cura nel montaggio.

Dopo questo ho avuto il mio primo ruolo importante: ho interpretato ‘il’ Frank per il film del 2024 di Paola Randi La Storia del Frank e della Nina. In questo caso siamo stati scelti in estate, pensavamo di cominciare a girare a settembre, invece si è iniziato a novembre, quindi abbiamo avuto quattro mesi per lavorare sui personaggi, sia insieme, sia personalmente. Paola Randi mi aveva anche consigliato dei libri e dei film per entrare in sintonia con ‘il’ Frank.
Questa esperienza per me è stata più travolgente umanamente parlando, perché in Paola Randi, oltre che una grande guida, ho trovato anche un'amica. Lei si è posta nei miei confronti sin dall'inizio, con un atteggiamento di fiducia che aiuta molto nel lavoro. Paola mi ha aiutato molto ad accettare i miei colori personali: rispetto allo stereotipo machista del maschio bianco, italiano sono, diciamo, un po’ più delicato e pacato. Però ho un colore che può ispirare dei personaggi più fragili e più deboli, ma altrettanto interessanti umanamente, spero. In accademia mi dicevano di stare attento perché tendo a spalmare il mio colore su tutti i personaggi che affronto. Non so se è stato un bene o un male che mi dicessero questa cosa, perché ho avuto paura di non poter diventare altro. Invece, Paola Randi ha avuto fiducia in me e mi ha permesso di applicare una mia caratteristica a un romantico, rivoluzionario, milanese con i capelli platinati: tutte cose che io non sono. Da questa esperienza sono molto più sicuro di me perché so che posso mettere un po’ di me in tantissimi personaggi diversi e per questo la ringrazio molto.

Parliamo quindi de La storia del Frank e della Nina. Il film e il tuo personaggio in particolare giocano molto con il tema della soggettività.
Sì, credo che il fulcro stilistico e tematico del film ruoti proprio attorno al fatto esplicito nel titolo: è una storia, un racconto nel racconto che è narrato da un personaggio muto, quindi la nostra percezione è filtrata dalla sua. Questo Paola Randi lo lega alla memoria emotiva che si basa su un fatto biologico: ogni 10 anni la maggior parte delle nostre cellule si rigenera completamente, quindi, anche a livello fisico, non siamo più le persone di prima. Queste nuove cellule sono influenzate dall'ambiente in cui viviamo, dalle cose che respiriamo, che mangiamo, dagli incontri che facciamo e dal nostro benessere. Noi ci rigeneriamo in base alle esperienze personali che dipendono dal nostro passato, dal nostro presente e delle nostre aspettative sul futuro, quindi la nostra visione del mondo non può che essere soggettiva. Perciò, per riprendere il film, i ricordi di ognuno di noi sono creati e rielaborati con dei colori legati alle sensazioni personali. Per questo Randi nel film dà o toglie colore alle cose in base alla percezione di Gollum, il suo narratore. Questo tema è molto caro alla regista che, infatti, fa dire al Frank: “La realtà è solo un punto di vista”. Così è anche per il film: Randi come altre registe o registi porta al cinema una visione personale e particolare della realtà che non è - e non deve credere di essere - oggettiva.
Senti che ‘il’ Frank ti abbia insegnato qualcosa?

‘Il’ Frank mi ha insegnato tanto. È un personaggio tra le righe che decide di crearsi il suo mondo. Si unisce ad altre due persone che, come lui, sono invisibili a modo loro. Sono estranei a tutto, sono eterni pendolari, eterni provinciali. In questo trio ‘il’ Frank è un po’ un infiltrato, non ha il loro stesso background, ma in qualche modo sente una connessione con loro. Lui pensa che dato che tutto è soggettivo, non c’è nessun male nell'inventare la realtà: alla fine chi dice che, per esempio, la mia famiglia non posso scegliermela io? Chi dice che la mia famiglia non possono essere i miei amici? E alla fine funziona, anzi è meglio così, perché ci sono dei tipi di legami, come racconta sempre bene Randi, che a volte sono più profondi e più incisivi rispetto ai legami di sangue. In questo sento riecheggiare le parole di Michela Murgia che ha posto molta attenzione al concetto di famiglia queer in una società come la nostra in cui ci sono tantissimi retaggi, fortemente consolidati, per cui ci vuole un grande coraggio per accettare la libertà e scegliere quali sono le persone più importanti che ti capiscono veramente e di cui vuoi circondarti per la vita.
Un’altra cosa che ‘il’ Frank mi ha insegnato, grazie alla sua conoscenza quasi buffa degli aspetti più nascosti della storia, è che il sapere può essere stimolo per il quotidiano e può essere ispirazione per le proprie scelte di vita, non solo nozioni da imparare a memoria a scuola. In questo modo la conoscenza prende corpo e acquista un senso.

Tornando invece al cinema in generale, quali pensi siano le difficoltà maggiori del settore e quale consiglio daresti alle persone che si vogliono affacciare a questo mondo?
In questo settore, purtroppo, è frequente attraversare momenti di difficoltà, ora però vi è una crisi generale, uguale per tuttə, con difficoltà tecniche e oggettive. Siamo fermi da quasi un anno perché sono bloccati i fondi nazionali di finanziamento al cinema italiano. Sono stati tolti dei soldi, nelle varie leggi di bilancio degli ultimi due anni, alla cultura in generale e, quindi, gli addetti ai lavori sono perlopiù fermi. Soprattutto per quanto riguarda il cinema indipendente e d'autore. Anche agli scorsi David di Donatello alcune personalità hanno fatto riferimento a questa situazione: vi è una sorta di rabbia, consapevolezza e movimentazione comune a riguardo.
Il 30 maggio dovrebbe finalmente sbloccarsi qualcosa, perché dovrebbe arrivare una sentenza del Tar che risponde all'obiezione “dei produttori”, i quali sostengono che i finanziamenti nazionali, il tax credit, ovvero la principale fonte di finanziamento del cinema italiano, nell’ultimo decreto attuativo non erano all'altezza. Quindi speriamo che si sblocchi qualcosa a breve.

Per tuttə lə giovanə che in questo momento si approcciano al cinema mi sento di consigliare, e lo dico anche a me stesso, di essere fiduciosi, credere in se stessi e portare pazienza. A volte capita che cominci a fare i primi provini e poi ti rendi conto che non vieni preso oppure proprio i provini non arrivano (negli ultimi tempi per me è stato così). Questo spaventa, mortifica e fa venire tanti dubbi. Però, purtroppo, è normale così, quindi bisogna essere fiduciosi che le cose riprenderanno e torneranno le occasioni.
f.v.
Bellissimo articolo e bellissimo vedere tanti giovani pieni di passione