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Olga Tokarczuk: rivoluzionare un archetipo

Aggiornamento: 28 ott

Rubrica: Letteratura femminista


La scrittrice Olga Tokarczuk
La scrittrice Olga Tokarczuk

Vincitrice del Nobel per la letteratura nel 2018, Olga Tokarczuk è una delle voci più vibranti e originali della nostra contemporaneità. A seguito della notorietà datale dal premio svedese, in Italia è iniziata un’opera di riscoperta del suo opus, dapprima confinato ai margini del catalogo, e a cui ora viene invece conferita nuova dignità. Bompiani sta infatti traducendo e ritraducendo i suoi scritti, tra cui il suo ultimo romanzo, Empusium (2022), uscito nelle nostre librerie il 21 ottobre. Le opere disponibili in italiano sono solo una parte ridotta della bibliografia di Tokarczuk, ma, ciononostante, è comunque possibile capire quali siano alcuni dei nuclei di interesse della scrittrice, tra tutti la frammentarietà dei suoi racconti, che, spesso, sono opere corali in cui è il lettore a farsi carico di ricostruirne la completezza, e l’impegno civile e politico che emerge dalla ricorrenza di temi quali l’ecologia e il femminismo.


Tokarczuk è infatti una convinta femminista, nonché attivista per l’ambiente, e ciò risuona profondamente nella sua opera, che, oltre ad offrire delle prove di ottima narrativa, costruisce e sedimenta nel lettore l’immagine della scrittrice stessa: una donna battagliera e acuta, che non ha paura di esporsi, fatta di piccole e grandi rivoluzioni, che vanno dal professarsi atea in un paese a maggioranza cattolica, al battersi per i diritti degli animali in un mondo che li ha fatti diventare mero mezzo motore di un’industria capitalista, fino alla lotta per la sensibilizzazione ai temi ecologisti, che si scontra contro un muro di ottusità e rifiuto di osservare la realtà da parte di chi avrebbe il potere di cambiarla. Le credenze di Tokarczuk si riflettono nei suoi scritti, che contribuiscono non solo a fornire una camera di risonanza per le sue idee, ma anche ad ampliarle e renderne possibile un’esplorazione che, confinata alla realtà, non sarebbe possibile. Oltre al trovare intessuti nella narrazione riferimenti al pensiero dell’autrice, è interessante notare che spesso i suoi personaggi sono costruiti come ulteriori atti rivoluzionari, non solo per le battaglie di cui si fanno portavoce, ma anche attraverso la loro costruzione ontologica: spesso, infatti, essi incarnano topoi letterari molto specifici, per poi ribaltare le aspettative che questi ultimi portano con sé.


Attingendo al mondo delle fiabe, del mito e della religione, Tokarczuk ricalca spesso situazioni e personaggi che, in apparenza, sembrano essere familiari al lettore. Compaiono vecchi saggi, santi, pellegrini, madri e matrigne, padri-padroni, castellani e castellane, i quali si muovono in luoghi similmente codificati nell’immaginario: villaggi dimenticati, boschi, ampie campagne, vecchi castelli e grandi case vuote, tra loro accomunati dalla sensazione di isolamento dall’umanità e dal tempo. Le atmosfere fiabesche farebbero dunque pensare ad una narrazione classica, ma le aspettative del lettore vengono spazzate via dalla sensibilità post-moderna di Tokarczuk la quale, lungi dall’essere una narratrice sottomessa alle necessità della storia, la spezza e la rimonta a suo piacimento, reinventando il mito prendendone le caratteristiche chiave, che restano immutate, ma cambiando la prospettiva dello sguardo su di esso.


Esemplificativo di come la prospettiva sia chiave nel rinnovo della lettura che facciamo di simboli sedimentati nella nostra mente e, apparentemente, immutabili, è il lavoro che Olga Tokarczuk fa, in misure e opere differenti, sulla figura della Vecchia. Se le donne sono state infatti tenute ai margini della narrazione per lungo tempo, sia in veste di personaggi che di autrici, oggi, nonostante le cose siano cambiate rispetto al passato, vi sono comunque dei limiti che vengono imposti a una donna per essere protagonista di una storia, e uno di questi, forse il più crudele perché destinato ad affliggere tutte noi, è proprio l’età.


La nostra società non è pensata per accogliere gli anziani, e ciò è vero per entrambi i sessi, ma le donne anziane vengono viste con particolare sdegno, tanto che, se agli uomini è concesso di invecchiare e continuare a mostrarsi agli occhi del mondo, questo non avviene per le donne. Sebbene anche i ruoli sociali e narrativi concessi agli uomini diminuiscano con l’avanzare dell’età, non ci è comunque impossibile immaginarli come protagonisti eccentrici o affidabili e autoritari aiutanti, detective in pensione che ritornano per un ultimo caso, rudi uomini d’altri tempi che affrontano un viaggio che li porterà a riconsiderare la loro vita, saggi la cui conoscenza può portare alla soluzione di un conflitto: questi sono solo alcuni dei topoi narrativi che gli uomini anziani possono ricoprire. Le donne anziane, d’altro canto, quando non sono totalmente escluse dalla narrazione, rientrano in categorie negative e assimilabili: la strega e la matrigna.


Indipendentemente dall’età, gli archetipi narrativi femminili sono spesso riconducibili al mondo del mostruoso (leggi qui per un'analisi del mostruoso femminile in Stephen King: https://www.artisorelle.com/post/analisi-del-femminile-narrato-da-stephen-king), come dimostrato dagli studi di Julia Kristeva, ma la donna anziana è particolarmente mostruosa: se le donne giovani hanno, in un’ottica patriarcale, un ruolo da svolgere, sia esso di madre o di oggetto sessuale, le donne anziane hanno già idealmente svolto il proprio ruolo, non hanno più un’utilità e, anzi, possono diventare un ostacolo per le giovani, aggrapparsi a loro e cercare di privarle della loro gioventù.


Olga Tokarczuk, come detto in precedenza, gioca nei suoi romanzi con gli archetipi narrativi e la Vecchia è una delle figure ricorrenti nella sua letteratura, sia essa in veste di strega, madre o matrigna. In particolare, è possibile rintracciare diverse iterazioni di questa figura in tre dei suoi romanzi tradotti in italiano: Nella quiete del tempo (ed. or. 1996), I libri di Jakub (ed. or. 2014) e Guida il tuo carro sulle ossa dei morti (ed. or. 2009). In quest’ultimo la figura della Vecchia è prevalente, seguiamo infatti le vicende di un’insegnante d’inglese in pensione, Janina Duszejko, alle prese con la morte misteriosa di un vicino. Ambientato in un paesino di campagna al confine tra la Polonia e la Repubblica Ceca, è forse il romanzo dalla struttura meno complessa tra quelli di Tokarczuk, cosa che permette all’autrice di focalizzare la sua scrittura sulla costruzione dei personaggi. Janina è infatti il punto di maggiore interesse nella discussione critica del romanzo, proprio per la sua caratterizzazione: legge e traduce Blake, vive da sola in una grande campagna, ama gli animali più delle persone, si diletta di astrologia, è una donna fortemente indipendente, e anche un po' burbera. Già da questa descrizione è possibile intuire come la protagonista creata da Tokarczuk sia un perfetto amalgama di stereotipi e contraddizioni di essi, l’autrice unisce infatti elementi solitamente appartenenti a personaggi diversi (l’essere burbero è tipico degli uomini anziani, la lettura di poesie è tipica dei giovani adulti, etc.) e li usa per creare un personaggio sfaccettato e complesso, che distrugge la nozione precostituita di Vecchia per riappropriarsi del termine “persona”. 


Janina, interpretata da Agnieszka Mandat-Grabka nel film Pokot di Agnieszka Holland, tratto dal romanzo di Olga Tokarczuk
Janina, interpretata da Agnieszka Mandat-Grabka nel film Pokot (2017) di Agnieszka Holland, tratto dal romanzo di Olga Tokarczuk

Intervistata (https://www.bklynlibrary.org/blog/2020/01/12/olga-tokarczuk-interview) a questo proposito, Tokarczuk spiega come la sua intenzione fosse quella di creare un personaggio che, tra i vari attributi, avesse anche quello di essere una persona anziana, ma che non fosse definita esclusivamente dalla sua età. Spiega infatti che, nonostante i media solitamente facciano differenza tra “persona”, capace di avere interessi e un’identità autonoma, e “anziana”, privata di qualunque autonomia, il passaggio del tempo implica solo un cambiamento fisico, non identitario e che dunque una persona anziana può avere interessi “giovanili”. Tokarczuk costruisce quindi un personaggio eccentrico, che sfugge alle regole sociali e narrative, ma, anziché dipingerla come un mostro, come molti altri farebbero, anche adottando una lente femminista, ribalta questa prospettiva e ritrae come mostruosa la comunità che circonda Janina, la quale, posta dalla narrazione come bussola morale per il lettore, guarda lo svolgersi degli eventi con una consapevolezza che elude gli altri, ridotti a pedine nella sua storia.


Similmente, in I libri di Jakub, uno dei personaggi più memorabili è di nuovo una donna anziana, Yente. Sebbene questa volta non sia la protagonista della storia, il suo ruolo è comunque essenziale, tanto per il lettore, quanto per la scrittrice, che ha affermato che non avrebbe potuto concludere il romanzo se non fosse stato per l’arrivo di questo personaggio. Yente, come Janina, è posta al di sopra della narrazione, che inizia proprio con la donna intrappolata in un limbo tra vita e morte. Questa sua condizione è paradossale, fisicamente immobile, Yente acquista la capacità di muoversi con la mente nello spazio-tempo, diventando, di fatto, il collante di una narrazione che copre decenni di storia, al contempo narratore onnisciente e personaggio. Tokarczuk la definisce un “narratore in quarta persona” e ammette di aver preso spunto dal modo in cui è narrata la Genesi. Non sarebbe quindi una forzatura spingersi a dire che, nell’universo di I libri di Jakub, Dio è una donna anziana.


La relazione tra tempo, spazio ed esseri umani è uno dei temi ricorrenti negli scritti dell’autrice polacca, ed è la colonna portante del romanzo Nella quiete del tempo, la storia di un villaggio e dei suoi abitanti durante il corso del secolo breve. Lo scorrere del tempo è inevitabile, contemporaneamente condanna e salvezza dell’umanità. Il tempo passa e lascia dietro sé un accumulo di anni, le bambine crescono, diventano donne adulte e, infine, anziane. Questo è ciò che segna la più grande differenza del romanzo da quelli affrontati in precedenza: l’essere una donna anziana non è solo una condizione di partenza, ma anche di arrivo; le donne del romanzo si trovano infatti a dover affrontare il passaggio del tempo sulla propria pelle e Tokarczuk evidenzia l’ineluttabilità di ciò in una frase detta da Spighetta, la strega del villaggio:

Tutte le giovani donne sono figlie delle donne più vecchie.

Olga Tokarczuk
Olga Tokarczuk fotografata da Leonardo Cendano nel 2021

È qui che si trova il fulcro della questione: nasciamo da colei che diventeremo. Rinnegare la donna anziana è una condanna all’oblio verso noi stesse. Tokarczuk ci pone davanti a una comunanza inesorabile, l’anzianità, resa quasi un tabù dalla società, e a cui la scrittrice si approccia, in controtendenza, con sensibilità e rispetto, costruendo personaggi di donne anziane complessi, completi e, soprattutto, necessari, alla storia e alla Storia. L’atto rivoluzionario di Tokarczuk nel conferire nuova importanza alla donna anziana dimostra come il lavoro della scrittrice si propaghi dall’impegno letterario a quello civile: attraverso la distruzione e rivoluzione dell’archetipo della Vecchia nei suoi romanzi si pongono le basi per costruire un discorso sull’invisibilizzazione e de-umanizzazione delle donne anziane nella società.

g.c.

 


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