Les filles désir: cos'è una brava ragazza?
- Julien Noël
- 14 ago
- Tempo di lettura: 8 min
Rubrica: Attivismo artistico
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Un’estate a Marsiglia, un gruppo di amicə regna sul loro quartiere, sicurə di sé e delle regole. Tuttavia, il ritorno di Carmen, un’amica d’infanzia dal passato complicato, incrinerà il loro mondo: tra desiderio, potere e identità, le ragazze prendono il controllo della loro vita.
Les filles désir, nei cinema dal 16 luglio 2025, è il primo lungometraggio della regista francese Prïncia Car. Nata nei quartieri nord di Marsiglia, Car è cresciuta in una famiglia di attorici, in un contesto geografico dove la cultura era spesso assente o addirittura disprezzata. Proprio qui - e per questo motivo - nasce la più ardua battaglia della sua vita: offrire ai bambini di Marsiglia la possibilità di incontrare il cinema. Fonda, così, una scuola alternativa chiamata Moovida, un progetto per offrire supporto a una cinquantina di giovani tra i 16 e i 30 anni dando loro, per un anno, l’opportunità di scoprire i mestieri dell’attorice, sceneggiatorice, regista e tecnicə, con l’obiettivo di valorizzare il potenziale creativo e artistico delə giovani provenienti dai quartieri di Marsiglia.
Per un fortunato caso o forse un colpo del destino, la prima classe di questa scuola è diventata il cast del film stesso. Il progetto si è costruito attorno a laboratori di scrittura partecipativa, in cui lə attorici erano co-autorici dei dialoghi del film. Una scrittura collettiva, nata dall’improvvisazione, pensata per essere accessibile a tuttə. Una scommessa vincente: dopo qualche cortometraggio, questo primo lungometraggio li ha portati fino alla Quinzaine des Réalisateurs al Festival di Cannes.
I quartieri del nord non sono solo un semplice sfondo: sono un personaggio principale, vivo, imprevedibile, capace di passare in un istante dallo splendore al dramma. Esso mostra, senza filtri, un sessismo profondamente radicato, palpabile, assunto ed esposto alla luce del giorno; interiorizzato sin dall’infanzia e capace di plasmare percorsi di vita, condizionando i giovani adulti a perpetuare schemi tossici.

Una storia che segue il percorso di due donne nate nello stesso quartiere, ma con destini radicalmente diversi. Da una parte Yasmine, 17 anni, pronta a diventare la moglie perfetta, un’etichetta che il suo gruppo di amici le ha imposto, senza che lei abbia mai avuto davvero il diritto di chiedersi cosa volesse davvero. Dall’altra Carmen, tornata nel suo quartiere d’infanzia dopo diversi anni trascorsi come sex worker, incarna una donna libera che accetta il suo passato e proprio per questo risulta scomoda. Carmen, rappresentando la tipica donna bohémien, trascina nella sua caduta gli uomini che seduce (come nell’opera di Georges Bizet, a sua volta ispirata al racconto di Prosper Mérimée). Il suo nome e il suo personaggio incarnano i temi della libertà, della liberazione sessuale e della volontà feroce di indipendenza. Tra loro due c’è Omar, 19 anni, diviso tra l’amore per Yasmine e il desiderio per Carmen che, essendo la figura paternalista del gruppo, cerca di salvare tuttə, tranne se stesso. Quando si sente impotente e senza parole, per mantenere il controllo, è la violenza a prendere il sopravvento; una violenza fisica, verbale e sociale, che nasconde una fragilità incapace di esprimere diversamente il proprio dolore.
Malgrado la loro dimensione tragica, i personaggi non sono archetipi caricaturali: ognuno di loro incarna un percorso preciso, inestricabile dalla propria personalità e vissuto. Percorsi che vengono modellati - nonostante le differenze - dalla stessa società sessista e patriarcale in cui viviamo.

La pellicola è il mezzo attraverso il quale viene esaminato il rapporto di questə giovani marsigliesi con il desiderio, il proprio corpo e la sessualità. Carmen incarna questi profondi dilemmi all’interno del gruppo di amicə e, intrappolata tra passato e futuro, si scontra con una società che le nega il diritto a una seconda possibilità e viene ridotta a oggetto del desiderio. Da qui nasce un rapporto di forza: sesso e violenza si mescolano, come se fosse l’unico linguaggio possibile per esprimere il proprio desiderio.
La sfida che le due protagoniste dovranno affrontare è quella di non cedere al destino, di scegliere liberamente ciò che desiderano, senza piegarsi alle imposizioni della società né al peso del gruppo. È difficile liberarsi da quello che ha condizionato e influenzato la nostra vita, tanto che per appartenere ad un gruppo bisogna rientrare in schemi predefiniti ed uscirne significa rischiare di perdere una posizione comoda, anche se opprimente. Le dinamiche del gruppo riflettono quelle della società stessa.
La regista mette in discussione il presunto potere della supremazia maschile: i ragazzi sono intrappolati in un sistema che li spinge al limite e che impedisce loro di essere se stessi, condannandoli alla violenza per una mancanza di altri modi in cui possano esprimersi.

Il titolo Les filles désir apre la porta a un universo dove il desiderio sembra sospeso, un verbo bloccato, privato di coniugazione, come se alle donne fosse stato sottratto il libero arbitrio, il diritto di amare e di essere amate, per rinchiuderle in una società che rifiuta di concedere loro questa libertà. Il film interroga il posto fragile che esse occupano: crescere sotto il peso dello sguardo maschile mentre cercano di inventarsi, di trovare se stesse.
L’esperienza femminile è caratterizzata dal giudizio: sia nell’eccesso che nella mancanza vengono giudicate, si è alternatamente troppo o troppo poco, e mai veramente nel posto giusto. Eppure, in questa lotta, la fine del film lascia intravedere una luce, un percorso verso l’emancipazione. Si tratta di abbracciare la propria libertà interiore, di rivendicare la scelta del sé di fronte alle imposizioni esterne. È in questa rivolta silenziosa che le due eroine tessono una complicità, una sororità, che diventa insieme rifugio e forza, un invito a liberarsi, insieme.
j.n.
Ici la version française.
Les filles désir : c’est quoi une fille bien?
Un été à Marseille. Un groupe d’amis règnent sur leur quartier, sûrs d’eux, sûrs des règles. Mais le retour de Carmen, une amie d’enfance au passé trouble, va fissurer leur monde. Entre désir, pouvoir et identité, les filles prennent le contrôle de leur vie.
Ce film, dans les salles depuis le 16 juillet 2025, marque le premier long-métrage de la réalisatrice française Prïncia Car. Née dans les quartiers nord de Marseille, elle a grandi au sein d’une famille de comédiens, dans un environnement où la culture était souvent absente, voire méprisée. C’est de ce contexte qu’est né le combat d’une vie : offrir aux enfants de Marseille la possibilité de rencontrer le cinéma. Elle fonde alors une école alternative nommée Moovida, un dispositif qui propose d’accompagner une cinquantaine de jeunes de 16 à 30 ans. Pendant 1 an, ils vont découvrir les métiers d’acteurs, scénaristes, réalisateurs, techniciens, dans l’objectif de mettre en lumière le potentiel créatif et artistique des jeunes issus des quartiers de Marseille.
Par un heureux hasard ou un coup du destin, la toute première promotion de cette école devient le casting du film Les Filles Désir. Le projet s’est construit autour d’ateliers d’écriture participatifs, les acteurs étant tous co-dialoguistes du film. Une écriture collective, née de l’improvisation, pensée pour être accessible à toutes et à tous. Un pari gagnant : après quelques courts-métrages, ce premier long les conduit jusqu’à la Quinzaine des cinéastes au Festival de Cannes.
Les quartiers nord ne sont pas qu’un simple décor : ils sont un personnage principal, vivant, imprévisible, capable de basculer en un instant de la splendeur au drame. Ce personnage donne à voir, sans filtre, un sexisme profondément ancré palpable, assumé, exposé au grand jour. Un sexisme intériorisé dès l’enfance, qui façonne des trajectoires et conditionne de jeunes adultes à perpétuer des schémas toxiques.

Une histoire qui suit la trajectoire de deux femmes issues du même quartier mais au parcours singulièrement différent. D’un côté, Yasmine, 17 ans, se prépare à devenir l’épouse parfaite, une étiquette que lui a collée son groupe d’amis, sans qu’elle n’ait jamais vraiment eu le droit de se demander ce qu’elle voulait. De l’autre, Carmen, de retour dans son quartier d’enfance après plusieurs années passées comme travailleuse du sexe. Elle incarne une femme libre, qui assume son passé et c’est précisément ce qui dérange. Carmen, figure de la femme bohémienne, entraînant dans sa chute les hommes qu’elle séduit (comme dans l’opéra de Georges Bizet, lui même daptée de la nouvelle de Prosper Mérimée). Le prénom et son personnage incarnent les thèmes de la liberté, de la libération sexuelle et de la volonté farouche d’indépendance. Entre elles deux, Omar, 19 ans, tiraillé entre son amour pour Yasmine et son désir pour Carmen. Figure paternaliste du groupe, il veut sauver tout le monde, sauf lui-même. Lorsqu’il se sent désarmé, sans les mots pour garder le contrôle, c’est la violence qui prend le relais. Une violence physique, verbale, sociale, qui masque une fragilité incapable d’exprimer autrement sa douleur.
Malgré leur dimension tragique, les personnages ne sont pas des archétypes caricaturaux. Ils sont bien plus profonds que cela : chacun incarne une trajectoire précise, indissociable de sa personnalité et de son vécu. Des parcours façonnés, malgré leurs différences, par une même société sexiste et patriarcale dans laquelle, malheureusement, nous vivons.

C’est aussi une histoire qui interroge le rapport de ces jeunes Marseillais au désir, à leur corps et à leur sexualité. Carmen, ancienne travailleuse du sexe revenue dans son quartier d’origine, incarne ces questionnements profonds au sein du groupe d’amis. Piégée entre son passé et son avenir, elle se heurte à une société qui lui refuse le droit à une seconde chance. Réduite à un objet de désir, elle subit une forme de déshumanisation, conforme à cette injonction qui glorifie le désir chez les hommes mais exige qu’il soit tu chez les femmes. Dès lors, un rapport de force s’installe : sexe et violence se mêlent, comme si c’était le seul langage possible pour exprimer son désir.
Le défi que vont rencontrer les deux protagonistes est de ne pas céder au destin, de choisir librement ce qu’elles désirent, sans se plier aux injonctions de la société ni au poids du groupe. Il est difficile de s’extraire de ce à quoi on a été conditionné. Pour appartenir, il faut entrer dans des cases. En sortir, c’est risquer de perdre une forme de pouvoir, une place confortable, même si elle est oppressante. Le poids du groupe, c’est en réalité le poids de la société. La réalisatrice remet aussi en question le pouvoir supposé jouissif de la supériorité masculine. On observe que les garçons aussi sont piégés dans un système qui les pousse à bout, qui les empêche d’être eux-mêmes, et qui les condamne à la violence faute d’autres moyens d’expression.

Le titre Les filles désir ouvre la porte d’un univers où le désir semble suspendu, un verbe figé, privé de conjugaison, comme si l’on avait dérobé aux femmes leur libre arbitre, leur droit d’aimer et d’être aimées, pour les enfermer dans une société qui refuse de leur accorder cette liberté. Le film interroge cette place fragile qu’elles occupent : grandir sous le poids du regard masculin tout en cherchant à s’inventer, à se trouver elles-mêmes.
Être femme, c’est marcher sur un fil tendu entre deux mondes, où l’excès comme le manque sont jugés, où l’on est tour à tour trop ou pas assez, et jamais vraiment à la bonne place. Pourtant, dans cette lutte, la fin du film laisse entrevoir une lumière, un chemin vers l’émancipation. Il s’agit d’embrasser sa liberté intérieure, de revendiquer le choix de soi face aux injonctions extérieures. C’est dans cette révolte silencieuse que les deux héroïnes tissent une complicité, une sororité, qui devient à la fois refuge et force, une invitation à se libérer, ensemble.
j.n.





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