Il Teatro dei Nervi: performare l'isteria
- Chiara Tommasi
- 27 giu
- Tempo di lettura: 5 min
Aggiornamento: 8 lug
Nel corso dell'Ottocento, si radica in modo sempre più ingombrante una forte attrazione – se non ossessione – nei confronti dell'alterità. Ciò accade poiché quest'ultima risulta funzionale al mantenimento dell'ordine patriarcale: come osserva Deleuze, è proprio attraverso l'Altro che il Soggetto-Maggioranza – l'uomo bianco eterosessuale – definisce, per opposizione, la propria egemonia.
Anche la donna ricade all'interno di questa categoria, da sempre forzata in posizioni subalterne e d'obbedienza. A partire dall'Ottocento, tuttavia, inizia a rivendicare in modo sempre più sistematico spazi di autodeterminazione che innescano inevitabilmente un inquietante disordine sociale. Proclamando la propria autonomia attraverso il lavoro e il rifiuto del matrimonio e della vita domestica, la donna si afferma come soggetto imprevisto, perturbante, capace di scardinare gli equilibri consolidati. Il corpo biologico viene così ad identificarsi con il corpo sociale, producendo una sistematica medicalizzazione della diversità e un'isterizzazione del corpo femminile, che potrà essere recuperato dalla società solo attraverso la repressione sessuale e la clausura nella sfera privata e famigliare. Quando ciò risulta impossibile, rimane un'unica soluzione: la clinica, teatro in cui l'isterica può esibire se stessa nella sua complessità.

Non è un caso che il confine tra isteria e teatro si sia rivelato, nel corso dei secoli, così sorprendentemente labile. Questa prossimità affonda le radici nella stessa etimologia: già in epoca ippocratica, il termine hysteria manifestava un'ironica vicinanza con histrion, parola che designava gli attori teatrali, come se il linguaggio stesso avesse intuito fin dall'origine l'intrinseca natura performativa di questa condizione.
Per secoli l'isteria mantenne una definizione vaga e sfuggente, resistendo a ogni tentativo di classificazione medica. È nell'Ottocento, quando il fenomeno assume proporzioni quasi epidemiche, che la medicina tenta finalmente di circoscriverlo. L'isteria viene allora descritta come un morbo proteiforme, capace di manifestarsi attraverso una varietà di sintomi psicosomatici – dalla chorea con i suoi movimenti simili a una danza convulsa, alle crisi pseudo-epilettiche, fino alle paralisi improvvise – tanto vari e apparentemente contraddittori da spingere molti medici a sospettare una deliberata "simulazione" da parte delle pazienti.

Inizia così una febbrile corsa allo studio di questa misteriosa malattia, il cui protagonista indiscusso è Jean-Martin Charcot, nominato nel 1870 capo del reparto psichiatrico della Salpêtrière di Parigi. Il suo metodo orbita attorno al concetto di suggestione: uno stato psicofisico raggiunto attraverso l'ipnosi, che mira a costituire al contempo una prova e una terapia dell’isteria, poiché dà la possibilità sia di produrre artificialmente la ‘parata isterica’ dei sintomi, sia di governarne l'apparizione.
(Per un eventuale approfondimento, M. A. Trasforini racconta il metodo Charcot in Corpo isterico e sguardo medico. Storie di vita e storie di sguardi fra medici e isteriche nell’Ottocento francese)
Si costruisce così una messa in scena clinica che autorizza il medico a esercitare una violenza reale sulla paziente: sotto ipnosi, la volontà della donna viene completamente neutralizzata e si raggiunge una sorta di "grado zero" della corporeità. Il corpo isterico si trasforma da soggetto a oggetto, una marionetta docile in grado di riprodurre artificialmente – se ben guidata – le fasi della crisi isterica, seguendo una coreografia di gesti predefiniti, una partitura teatrale perfettamente controllabile.
Charcot comprende immediatamente le potenzialità espressive di questo dispositivo, scorgendovi un'irresistibile occasione performativa in cui esibirsi come protagonista assoluto, celebrando non solo il proprio "genio scientifico" ma soprattutto la sua capacità di dominare, senza sforzo, il corpo femminile. Si rivela così, ancora una volta, l'antica strategia patriarcale, che trasforma le donne in strumenti per l'autorappresentazione maschile, pur a scapito del completo annientamento della volontà femminile.

Il 1870 segna, così, l'avvio delle Leçons du Mardi – lezioni settimanali inizialmente riservate a un pubblico ristretto di studiosi selezionati da Charcot stesso – che diventano ben presto un vero e proprio evento mondano, a cui prendono parte intellettuali, giornalisti, artisti e curiosi di ogni classe sociale.
La clinica diventa dunque un autentico teatro, da alcuni definito persino un circo, sottintendendo che una donna, quando sfugge ai codici della sottomissione e manifesta il proprio desiderio, altro non è che un animale da esibire e riaddomesticare.
Ha così inizio la stagione del Teatro dei Nervi, con Charcot nei panni del regista che, dietro pretesti scientifici, nasconde in realtà un feticcio per la messa in scena e il controllo del corpo femminile. Le lezioni-spettacoli prevedevano la rappresentazione delle fasi di un attacco isterico, performate da Charcot – in piedi al centro della scena come un esperto regista – e dalle sue hysterical stars, scelte molto spesso per le attraenti parvenze e i corpi particolarmente appetibili. Il ‘canovaccio’ era sempre lo stesso, diviso in scene e atti che seguivano lo schema (fittizio) di una vera crisi isterica: esisteva un prologo, chiamato aura, e a seguire quattro fasi, denominate periodo epilettoide, periodo del clownismo, periodo delle attitudini passionali e periodo del delirio.
L’operazione condotta da Charcot sull’isteria sembra agli occhi di tutti perfettamente riuscita, eppure, proprio nel cuore di questo dispositivo di controllo, si apre uno spazio inaspettato di resistenza. Le isteriche iniziano infatti a tenere testa all'iper-potere psichiatrico, esasperando il corteo dei sintomi ed esibendo con magnifica ostentazione lo spettacolo della propria malattia, trasformando la loro sottomissione in una forma provocatoria di ribellione.
Ciò di cui Charcot non si rendeva conto, infatti, era che le donne partecipavano attivamente a quel rito performativo. Quella finzione non era una costrizione unilaterale cui loro, vittime passive, dovevano sottostare: era invece un esercizio della loro volontà, un modo per approfittare di quegli scorci di libertà e svincolare il corpo dalle rigide pose imposte dalla società patriarcale. Le isteriche erano consapevoli delle potenzialità di quelle occasioni: non solo momenti di intensa estasi sensoriale (l'ipnosi era talvolta inscenata ricorrendo a una manipolazione della zona pelvica e genitale della paziente) – altrimenti preclusa in una società che demonizzava la sessualità femminile – ma anche spazi di autentica espressione artistica.

Molte vedevano nelle Leçons du Mardi la possibilità di mettersi finalmente in scena, dimostrando con quale abilità sapessero fingere la sottomissione pur rimanendo segretamente padrone di sé stesse.
Se questa dinamica sfugge alla comprensione degli uomini, abituati a ritenere le donne prive di intelletto e di scaltrezza, di certo non passa inosservato alle altre spettatrici: l'illustre attrice Sarah Bernhardt, non a caso, dichiara a più riprese di aver tratto fondamentale ispirazione da queste lezioni, riconoscendovi appunto, delle vere e proprie esibizioni artistiche consapevoli.
Le performance delle Leçons du Mardi rappresentavano così una strategia duplice: una via per adeguarsi alle richieste del sistema dominante per potervi sopravvivere, ma anche un'ultima occasione per ritrovare la propria identità e ridefinire il proprio status sociale.
Tra le hysterical stars charcottiane, molte trovarono fortuna nel mondo dello spettacolo: Blanche Wittmann, ad esempio, definita Regina delle isteriche, divenne musa di André Brouillet e August Strindberg, mentre Jane Avril, una volta dimessa dalla Salpêtrière, fu assunta come ballerina al Moulin Rouge, dove ispirò le Affiches de théâtre di Toulouse-Lautrec.
Il Teatro dei Nervi, seppur costruito su un sistema di violenza e umiliazione che condannò migliaia di donne a internamenti ingiusti e sofferenze indicibili, si rivelò in fin dei conti anche un trampolino di lancio per vite autonome e carriere artistiche fiorenti. Le poche che riuscirono a trasformare la propria prigionia in libertà rappresentano una piccola, ma significativa, rivincita, dimostrando ancora una volta che il controllo totale rimane un'illusione maschile: anche nella più crudele sottomissione, stanno segretamente tessendo la trama della propria emancipazione.
c.t.
Un tassello importante nella costruzione del comprendere il difficile cammino delle donne in questa società patriarcale.
Argomento interessantissimo, complimenti per il lavoro di informazione e divulgazione