Chi ha paura di Katharine Hepburn? La poisoned icon di Hollywood
- Alessia Melotto
- 25 lug
- Tempo di lettura: 6 min
Rubrica: Vita da strega
Anticonformista, magnetica e imprevedibile, è forse impossibile cercare di definire Katharine Hepburn se non come un’icona irripetibile. Con una carriera che si estende per quasi settant’anni tra cinema, teatro e televisione, l’attrice è diventata l’emblema di un divismo femminile non convenzionale, scuotendo Hollywood dalle fondamenta e sorprendendo il suo pubblico con un carattere fuori dagli schemi e contro le aspettative sociali dell’epoca. Ma se oggi Hepburn è consacrata nella memoria collettiva come una delle più luminose stelle della storia del cinema occidentale, è bene ricordare che non è sempre stato così: l’attrice si è infatti trovata a più riprese a dover affrontare vere e proprie campagne di odio da parte del pubblico dell’epoca, che hanno rischiato di far deragliare la sua carriera e, soprattutto, di distruggere la sua immagine pubblica.

Nata in una famiglia benestante e liberale, fin da giovanissima Katharine Hepburn si avvicina alle istanze del femminismo partecipando con la madre suffragetta a manifestazioni per il diritto di voto alle donne. I genitori della futura attrice incoraggiano lei e i fratelli a intraprendere attività artistiche e creative, permettendo loro di crescere in un ambiente vivace e libero da pregiudizi o costrizioni.
Dopo essersi laureata, nel 1932 la venticinquenne Hepburn arriva a Hollywood - dopo qualche anno di una gavetta teatrale fatta di alti e bassi - con A Bill of Divorcement, diretto da George Cukor. Il film, che segna anche l’inizio di un lungo e fiorente sodalizio artistico tra il regista e l’attrice, lancia l’astro Hepburn al grande pubblico della sala, che fin da subito riconosce in lei una forza e una personalità mai viste prima – “There was this odd creature, she was unlike anybody I'd ever heard”, dice lo stesso Cukor riferendosi al loro primo incontro.

Sulla scia di questo enorme successo, la RKO Radio Pictures la lega a sé per una serie di film negli anni successivi, tra cui Little Women e Morning Glory. Con quest'ultimo vince il suo primo (di quattro) Premio Oscar alla Migliore Attrice e ottiene la consacrazione definitiva nel panorama hollywoodiano.
Tuttavia, in questi anni iniziano a circolare dichiarazioni negative sul suo carattere fuori dallo schermo e l’attrice viene descritta a più riprese come arrogante e antipatica per il modo in cui risponde ai commenti invadenti della stampa e per il suo atteggiamento non sempre accomodante nei confronti del pubblico.
È così che una serie di film a cui l’attrice prende parte a metà degli anni Trenta – da Sylvia Scarlett (1935) fino a Bringing Up Baby (1938) – finiscono per essere un flop dietro l’altro, fruttando poco o niente al box office e devastando l’immagine di Hepburn fuori dallo schermo. La reputazione dell’attrice in questa fase della sua carriera decade a tal punto da farla definire “box office poison” (veleno per il botteghino) e, di fatto, imputare interamente a lei la causa del fallimento delle pellicole che interpreta. A questo punto, Katherine Hepburn decide di lasciare Hollywood per tornare a teatro e scomparire momentaneamente dal grande schermo.
Osservando la serie di clamorosi insuccessi consecutivi a cui l’attrice prende parte in questi anni, è sconvolgente la velocità con cui il suo astro tramonta, trasformandola da interprete amatissima e celebrata per la sua non convenzionalità e unicità a fattore di un sicuro fallimento.

Può sembrare assurdo, oggi, che anche film diventati poi cult del cinema hollywoodiano, come il capolavoro screwball di Bringing Up Baby, all’epoca della loro uscita in sala furono degli insuccessi clamorosi – solo raramente salvati dalla critica.
In questa fase, il pubblico sviluppa nei confronti di Hepburn un atteggiamento di vero e proprio rigetto, totale e netto, al punto da rifiutarsi di andare a vedere i suoi film – nonostante la casa di produzione RKO Radio Pictures cerchi di affiancarla a star molto amate come Cary Grant per risollevarne la reputazione. Come osserva la critica Molly Haskell, autrice di From Reverence to Rape: The Treatment of Women in the Movies (saggio pietra miliare per i feminist film studies), gli spettatori iniziano a odiare l’attrice per lo stesso motivo per cui, agli inizi, l’avevano tanto amata, ovvero il suo carattere: sicura di sé, indipendente e provocatoria, all’improvviso Hepburn diventa una minaccia per l’immagine della diva hollywoodiana convenzionale e, di conseguenza, per quella della donna nella società.
Una star femminile che non ha paura di fare valere le proprie convinzioni e che indossa i pantaloni in anni in cui la concezione di femminilità è ancora fortemente legata a valori conservatori e patriarcali diventa quindi qualcosa da temere. Hepburn, rifiutando di aderire anche a determinati standard estetici e, dunque, di femminilità e interpretando sullo schermo ruoli che non sono riconducibili a una concezione del gender binaria o rassicurante, si trasforma in una sorta di freak – e non è un caso se, proprio in questa fase, iniziano a circolare voci sulla sua presunta (ma mai confermata) bisessualità. Quando in Sylvia Scarlett l’attrice si taglia i capelli cortissimi e si traveste da uomo, finendo in una serie di equivoci che giocano con la fluidità di genere e la queerness, crea un'immagine troppo conturbante e minacciosa per l’ordine sociale del tempo. In questo senso, è importante notare come anche un altro film che gioca con il cross-dressing e con il sovvertimento dei ruoli di genere, ovvero Bringing Up Baby, è un flop clamoroso all’epoca della sua uscita, per essere riscoperto solo decenni più tardi e celebrato in tutta la sua geniale modernità.

Tornando all’etichetta di “box office poison”, è poi bene notare che Hepburn non è l’unica star dell’epoca a esserne bollata: sono diverse le interpreti del periodo a macchiarsi della colpa di trascinare nel fallimento i film a cui prendono parte. Tra queste ci sono anche grandi attrici del calibro di Mae West, Greta Garbo e Marlene Dietrich che, proprio come Hepburn, passano da essere star venerate e amatissime dal pubblico a “veleno” di Hollywood. Non è un caso che anche Garbo e Dietrich giochino con i ruoli di genere tradizionali proponendo dei modelli di femminilità più moderni ma meno rassicuranti e, soprattutto, incarnino una sessualità per l’epoca conturbante con la loro queerness.
Ma se l’elenco di attrici “velenose” per il botteghino è corposo, non si può dire lo stesso dei loro colleghi uomini: sono infatti poche le star maschili del grande schermo che si sono viste attribuire questa etichetta. Anche quando attori come James Cagney ed Henry Fonda si guadagnano questo epiteto, la loro parabola resta comunque molto diversa rispetto alla controparte femminile, rivelando come l’attribuzione di questa definizione sia estremamente legata a un doppio standard di fondo. Ancora oggi, se si pensa a una grande star maschile, difficilmente gli inevitabili flop della sua carriera vengono legati così tanto a doppio filo con il suo carattere o con la sua off-screen persona, cosa che invece puntualmente avviene per le interpreti donne, la cui vita privata è costantemente tirata in ballo nella ricezione delle loro performance sul grande schermo.

Nel caso di Hepburn, fortunatamente, il suo allontanamento dal cinema non dura molto ed è proprio l’attrice a fare di tutto per tornarci e per riguadagnarsi l’affetto del pubblico. Nel 1939, anche grazie al sostegno del miliardario e suo partner dell’epoca Howard Hughes, l’attrice compra i diritti per l’adattamento cinematografico di Scandalo a Filadelfia, commedia teatrale di Philip Barry da lei stessa interpretata sul palcoscenico e che in quell’anno riscuote un grande successo. Uscito nel 1940, il film – diretto ancora una volta da George Cukor – è la storia di Tracy Lord (interpretata da Hepburn), un’ereditiera dell’alta società il cui imminente matrimonio è messo in crisi dall’arrivo del suo ex marito e da un giornalista (Cary Grant e James Stewart).
Se nei film precedenti le protagoniste interpretate dall’attrice non scendevano quasi mai a compromessi e, soprattutto, conservavano la loro indipendenza e perseguivano le proprie aspirazioni, è a partire da Scandalo a Filadelfia che Hepburn, con i suoi personaggi, finisce sempre più spesso per essere messa in ridicolo o punita, come a ricordarle che anche per una donna come lei l’unica risoluzione non può che essere quella di trovarsi un marito. Come osserva Molly Haskell, “[Hepburn] doveva in un certo modo sminuirsi da sola perché il pubblico le volesse bene. Era bella e intelligente, gli uomini ne erano intimiditi e minacciati, quindi doveva concedere qualcosa”. E anche in un film come La donna del giorno, in cui interpreta una famosa giornalista che fa della sua carriera e della sua indipendenza il suo carattere principale, nel finale è costretta ad adattarsi al ruolo domestico e, incapace di farlo, a lasciarsi umiliare per riconquistare l’uomo di cui è innamorata.

Nonostante questa battuta di arresto, Katharine Hepburn proseguirà la sua carriera per decenni, regalando ancora performance iconiche in film che hanno segnato la storia del cinema e diventando la star celebrata e amatissima che è oggi. Anticonformista, pungente e sorprendente, è bene però ricordare che le caratteristiche che hanno reso Hepburn una pioniera dei tempi futuri sono anche le stesse che l’hanno portata a essere odiata dal pubblico del suo tempo: un pubblico non ancora pronto a comprendere la tempesta di cambiamento che l’attrice portava con sé e disposto a tutto pur di cambiarla ma riuscendoci, fortunatamente, soltanto in minima parte.
A.M.





Grandissima attrice, troppo avanti per i suoi tempi!